I NUOVI FARMACI INIBITORI DI SGLT2 e PROTEZIONE CARDIOVASCOLARE

Gli SGLT2 inibitori sono una nuova classe di farmaci utilizzata per la terapia del diabete. Questi farmaci riducono la glicemia, facilitando la perdita di glucosio attraverso le urine. Ma i loro vantaggi non si limitano a migliorare il compenso del diabete.

Gli studi di outcome cardiovascolare condotti con gli SGLT2 inibitori hanno dimostrato infatti non solo la loro sicurezza ma anche una riduzione di eventi cardiovascolari nei pazienti trattati con questi farmaci; gli studi effettuati finora in particolare dimostrano una riduzione del 30% dei principali eventi cardiovascolari (MACE); questi farmaci sono inoltre efficaci nel ridurre la comparsa di insufficienza cardiaca (riducono del 40% i ricoveri per questa condizione), tanto che oggi sono indicati anche nei soggetti a rischio-scompenso, a prescindere dalla presenza o meno di diabete.

 

Gli SGLT2 inibitori (o gliflozine) includono tre molecole l’empagliflozin, il canagliflozin e il dapagliflozin, approvati in Italia per il trattamento del diabete di tipo 2 in mono-somministrazione giornaliera, con un profilo di safety superiore rispetto ad altri ipoglicemizzanti orali. Le gliflozine inibiscono selettivamente SGLT2 a livello del tubulo renale, inducendo diuresi osmotica con riduzione del riassorbimento prossimale di glucosio e sodio. Questi farmaci hanno dimostrato efficacia anche sulla riduzione del peso corporeo, della pressione arteriosa e della rigidità vascolare e la riduzione della proteinuria e dell’uricemia, con meccanismi che peraltro sono tuttora oggetto di studio.

 

Nel corso degli ultimi cinque anni sono stati presentati i risultati di studi clinici di intervento in pazienti diabetici con i tre farmaci della classe delle gliflozine (EMPAREG-outome, CANVAS, DECLARE-TIMI58). In questi studi è stata dimostrata una evidente efficacia delle gliflozine sulla riduzione degli endpoints renali e cardiovascolari maggiori ed in particolare sull’end-point di riduzione delle ospedalizzazioni e mortalità per scompenso cardiaco. Nell’ambito di un programma terapeutico che si ponga come obiettivo il miglioramento degli outcome cardiovascolari e la riduzione delle riacutizzazioni in pazienti affetti da scompenso cardiaco a ridotta frazione d’eiezione, sono stati presentati durante il congresso dell’European Society of Cardiology 2019 i risultati del trial clinico di fase III DAPA-HF (Dapagliflozin in Patients with Heart Failure and Reduced Ejection Fraction), pubblicato su New England Journal of Medicine  lo scorso Novembre.  In questo studio è stata valutata l’efficacia del dapagliflozin sulla riacutizzazione e ospedalizzazione per scompenso cardiaco e mortalità cardiovascolare, in una popolazione di pazienti affetta da insufficienza cardiaca a ridotta frazione di eiezione (Classe NYHA II-IV), con e senza diabete mellito (55% dei pazienti). Dei 4744 pazienti arruolati nello studio, 2373 sono stati randomizzati a dapagliflozin e 2371 a placebo, in aggiunta alla terapia medica ottimale, con un periodo medio di osservazione di 18.2 mesi. I risultati dello studio hanno mostrato una sicura efficacia sull’endpoint primario di riacutizzazione per scompenso cardiaco (che includeva ospedalizzazione o visita urgente richiedente terapia medica endovenosa) e mortalità cardiovascolare (-16.3%, 386 pazienti, nel gruppo randomizzato a dapagliflozin e -21.2%, 502 pazienti, nel gruppo randomizzato a placebo; HR 0.74; CI 95%: 0.65-0.85; P<0.0001), con un NNT (number needed to treat) particolarmente favorevole, pari a 21. Tuttavia i pazienti con una classe funzionale peggiore (NYHA III-IV) al momento della randomizzazione hanno mostrato un beneficio relativamente inferiore rispetto ai pazienti in classe funzionale NYHA II. E’ interessante notare che anche l’analisi per sottogruppi ha mostrato efficacia del farmaco. In particolare, in una post-hoc analisi relativa ad una sottopopolazione in terapia farmacologica con sacubitril/valsartan al momento della randomizzazione (11% della popolazione), il dapagliflozin ha mostrato efficacia sovrapponibile (HR 0.75, 95% CI, 0.50-1.13). La morte per cause cardiovascolari si è riscontrata in 227 pazienti (9.6%) nel gruppo randomizzato a dapagliflozin e in 273 pazienti (11.5%) nel gruppo randomizzato a placebo (HR, 0.82; 95% CI, 0.69-0.98). Inoltre, il rischio di morte per tutte le cause è risultato inferiore del 17% nel gruppo trattato con dapagliflozin (HR, 0.83; 95% CI, 0.71-0.97). L’incidenza di eventi avversi quali la deplezione di volume, la disfunzione renale e le ipoglicemie, non sono risultati differenti tra i due gruppi di trattamento.

Questi interessanti risultati non sembrano essere collegati esclusivamente all’effetto antidiabetico del farmaco, dal momento che la popolazione del trial includeva 42% di pazienti con diabete di tipo 2 e solo in un ulteriore 3% si è riscontrata una nuova diagnosi di diabete nel corso del follow-up. Pertanto l’efficacia del farmaco sembra andare oltre il controllo metabolico ed essere associata all’effetto diuretico e verosimilmente un effetto diretto a livello cardiovascolare, i cui meccanismi sono oggetto di studio. I risultati di questo trial potrebbero aprire nuovi orizzonti nel panorama terapeutico dello scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta con l’utilizzo degli SGLT2-inibitori anche in pazienti non diabetici. Tuttavia, al momento non si possono trarre conclusioni univoche dai risultati di questo studio in quanto il campione preso in esame è stato eterogeneo tenuto conto della bassa numerosità di pazienti anziani e con multiple comorbidità, la scarsa inclusione dell’etnia afroamericana ed il ridotto utilizzo di sacubitril/valsartan.  Un’ultima considerazione è relativa alla necessità di uno studio più approfondito delle indicazioni all’utilizzo di questa classe di farmaci relativamente alla tipologia di pazienti che potrebbero trarne maggior beneficio, tenuto conto della storia naturale dello scompenso cardiaco individuale (particolarmente il livello di classe funzionale). In questa direzione, al fine di definire ulteriormente le potenzialità terapeutiche del dapagliflozin sulla protezione cardiovascolare sono in fase di studio pazienti con scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata (HFpEF) negli studi  DELIVER e DETERMINE e con malattia renale cronica nello studio DAPA-CKD. L’obiettivo generale è quello di fornire evidenze cliniche univoche al fine di implementare l’efficacia dell’armamentario terapeutico per la prevenzione e cura delle malattie cardiovascolari e renali nel paziente a rischio cardio-metabolico, al fine di migliorare il danno d’organo e ridurre la morbilità e mortalità cardiovascolare.